Sicurezza: attenti alla lobby delle carceri

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Oggi la fiducia sul ddl Severino. Fli spiega perché è utile ma non basta. Nelle prigioni serve lavoro e azione rieducativa

LUIGI MURO
Il cosiddetto provvedimento svuotacarceri, su cui il governo ha posto la fiducia, è certamente un passo avanti nel complesso mondo del regime carcerario italiano ma, da solo, non è sufficiente ad affrontare in maniera schietta ed efficace il problema. Il 6 dicembre scorso inviai al ministro della Giustizia una lettera aperta che prendeva spunto da una sua dichiarazione che apriva ad interventi di “sistema”. In tale missiva invitai il Ministro a valutare un più corposo uso del braccialetto elettronico per ridurre il numero e le pene dei detenuti.

Il mio ragionamento partiva dal fatto che oggi i detenuti nelle carceri italiane sono oltre 67.000 e costano allo Stato un fiume di denaro, il 28 per cento di loro è in attesa di giudizio. Le statistiche parlano chiaro: solo il 30 per cento di coloro che sono temporaneamente in carcere è tornato a delinquere mentre il dato è capovolto per chi sconta l’intera pena: il 70 per cento torna a delinquere.
Ciò a riprova del fatto che le carceri sono un luogo dove la scuola di criminalità prevale sulla rieducazione.
Quindi invitavo il Ministro a rafforzare il regime di detenzione domiciliare per diversi motiivi:
a) la detenzione in attesa di giudizio è una patologia del sistema
b) il braccialetto elettronico è efficace per la fase preventiva al
giudizio
c) meno di un terzo dei detenuti in attesa di giudizio rappresentano uno scarso pericolo sociale
d) il carcere usato solo in caso di necessità e comunque escluso per coloro che sono agli ultimi tre anni di pena e che hanno una buona condotta carceraria e che non siano socialmente e psicologicamente pericolosi.
Il Ministro ha contestato i dati sul costo del braccialetto elettronico ma, a mio avviso, non ha approfondito la questione: in Italia i costi sono legati ad una convenzione poco conveniente con un gestore telefonico al contrario di quanto avviene in altri paesi occidentali. Riflessione a parte merita la proposta del senatore Ignazio Marino sugli Ospedali psichiatrici giudiziari che, ad una lettura accorta, potrebbe rappresentare il “cavallo di Troia” con il quale si aprirebbero le porte ad operazioni pericolose e spregiudicate che avrebbero come obiettivo l’esatto opposto di quanto stabilito dalla nostra carta costituzionale in tema di carcerazione. Negli Stati Uniti ed in altri paese europei il carcere si sta convertendo progressivamente alle regole di mercato e sta diventando un laboratorio di sperimentazione e di investimento per il capitale. A fianco del carcere pubblico prende sempre più spazio l’istituzione di carceri private gestite in tutto o in parte da aziende che “utilizzano” a basso costo l’enorme forza lavoro costituita dai detenuti.
Anche in stati con una cultura politica e giuridica diversa, come l’Italia, l’idea potrebbe funzionare ma con interventi graduali e non legati alla fretta di individuare un rimedio a tutti i costi.
Non vorremmo che si stesse assistendo alla nascita di una “lobby delle prigioni” interessata ad aumentare unicamente i profitti e le politiche che incrementino le carcerazioni anziché la deflazione carceraria. In California, ad esempio, i gruppi di pressione hanno fatto approvare una norma che allunga i tempi delladetenzione (il cosiddetto “tre furti e ti becchi 20 anni”).
Insomma i detenuti come novelli cinesi o indiani? Utili all’utile di impresa?
Noi riteniamo che sia meglio impegnare lo Stato, costringere l’Amministrazione penitenziaria a farsi imprenditrice organizzando i detenuti in maniera operosa, togliendoli dall’ozio con progetti, anche su scala regionale, visibili ed utili. I Dirigenti non dovranno essere più una sorta di direttori di alberghi di infima categoria ma dovranno essere gestori di forza lavoro. Se non si affronterà un cambio di marcia e di cultura lo “svuotacarceri” proposto dal governo servirà a dare l’illusione a tutti noi di aver contribuito alla soluzione del problema che rimarrà li con le sue inefficienze ad ammonirci sulle nostre insufficienze.

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